La buonanima della suocera (breve analisi della struttura della pièce)

Feu la mère de MadameNel suo saggio breve pubblicato nel 1999 sulla rivista Cuadernos De Investigación Filológica, Vol. XXV, pp. 253-273, la studiosa Montserrat Serrano Mañes, dell’Universidad de Granada, analizza nel dettaglio la costruzione dell’atto unico di Georges Feydeau Feu la mère de Madame, noto in italiano con una varietà di titoli, tra i quali: La buonanima della suocera, La suocera buonanima, La povera mamma, La fu madre della signora.

Prima delle cinque farse coniugali dell’ultimo periodo, incentrate sulla vita di coppia, Feu la mère de Madame, come afferma l’autrice, si distingue per una struttura drammaturgica suddivisa in quattro scene: nella prima avviene l’esposizione, nella seconda il soggetto annunciato nell’esposizione viene ulteriormente approfondito, nella terza la pièce raggiunge il suo climax e nella quarta si arriva a un epilogo che lascia presagire che tutto è destinato a ricominciare.

La storia è abbastanza semplice, eppure Feydeau riesce a concepirla in modo tale da andare oltre l’apparente superficialità della trama: Yvonne viene risvegliata all’alba dal rientro del marito Lucien da una festa, e inizia a litigare animatamente con lui per delle sciocchezze; in questo litigio finisce coinvolta anche la domestica che dorme, o almeno ci prova, nella stanza accanto; a un certo punto si presenta alla porta il valletto Joseph che annuncia la morte della madre di Yvonne. Yvonne ne resta sconvolta mentre Lucien pensa già a come potrebbe spendere il denaro della suocera. Tra malintesi vari, alla fine viene a galla che Joseph ha sbagliato appartamento è che la defunta è la madre dei vicini. Yvonne ne è entusiasta e ricomincia a litigare con il marito per delle sciocchezze, mentre lui è esasperato.

I personaggi principali, Yvonne e Lucien, si presentano fin dall’inizio al pubblico, e attraverso i loro scambi di battute, lo informano sul loro carattere e sulla situazione che stanno affrontando. I personaggi secondari, Annette e Joseph, hanno invece lo scopo di collegare lo spazio scenico con i diversi spazi esterni e, a seconda che siano presenti o meno in scena, favoriscono la suddivisione in sequenze, o in movimenti, dell’opera. La gestualità molto precisa indicata da Feydeau unisce la comicità alla suspense e il pubblico si aspetta l’imprevisto, alla pari dei personaggi.

Feu la mère de Madame

Lo spazio scenico è univoco: l’unico luogo rappresentato è la camera, spazio sacrosanto del matrimonio. Questo luogo chiuso, però, possiede due aperture: una collega, attraverso la figura della domestica, la camera con il resto della casa; quindi è uno spazio interno altro, appartenente all’universo dei personaggi ma con le caratteristiche di uno spazio extra-scenico, poiché è invisibile allo spettatore. L’altra è la porta d’ingresso, che indica l’esistenza di un fuori scena estraneo alla coppia, il mondo esterno, che continua a insinuarsi sulla scena attraverso il suono inquietante e inaspettato del campanello. In questo modo, le possibilità drammaturgiche dello spazio sono sfruttate al massimo, come in tutte le pièces dell’autore.

La camera è ammobiliata come un interno piccolo-borghese dell’epoca. E non va dimenticato che gli oggetti che Feydeau colloca sulla scena svolgono sempre una funzione, scenica o altra. Tuttavia, ci sono elementi simbolici tra i quali il più saliente è il letto, che nel rapporto tra i due personaggi funziona come uno spazio nello spazio: appartiene a Yvonne e Lucien può a malapena avvicinarsene, a meno che non abbia il permesso della moglie. Altri elementi tipici della farsa coniugale sono: il caminetto, cuore e luce del focolare, simbolicamente spento, e soprattutto gli oggetti che caratterizzano il marito così come il letto definisce il ruolo della moglie: l’ombrello, il bastone Luigi XIV e la spada. Tre oggetti reiterati di cui due si troveranno riuniti accanto al caminetto, il che mette in risalto la loro portata metaforica. La profonda simbologia di questi elementi scenici, all’apparenza semplici accessori, è sottolineata dal fatto che prendono corpo solo all’interno della gestualità del personaggio, fin da quando fa il suo ingresso in scena. Per tutta la durata della pièce, Yvonne manterrà il suo ascendente sul letto, simbolo del potere coniugale, mentre Lucien abbandonerà progressivamente tutti gli oggetti, e quindi tutto ciò che rappresenta, direttamente o visivamente, il suo potere maschile.

Trattandosi di una farsa, la gestualità occupa un posto privilegiato. Tutta la gestualità delle prime due scene, ruota attorno al letto. Yvonne sale e scende da questa specie di castello con la ferocia e l’agilità di un gatto. Quanto al marito, gira attorno alla fortezza senza riuscire a prenderne possesso. Il suo posto è piuttosto il caminetto o il divanetto. Al massimo riesce a sedersi ai piedi del letto, o sul bordo, e ogni volta sarà strapazzato.

L’evocazione di spazi esterni consente di ricostruire alcune azioni fuori scena. Alcuni fanno riferimento a una spazialità molto prossima: la strada, il corridoio, la porta dei vicini, le scale. Ma lo spazio esterno extratemporale la cui descrizione occupa maggiore ampiezza è il ballo in maschera. Al pubblico viene concessa un’allusione alla cena di Lucien e anche l’evocazione sommaria dello spettacolo a cui ha assistito.

Il trattamento drammaturgico del tempo è in linea di principio inseparabile da quello dello spazio. In una pièce così breve, il tempo scenico dà l’impressione di sposare quello della rappresentazione. Feydeau ha cura di annotare nella prima didascalia tutto quello che consente di collocare l’azione in piena notte: effetti di luce, personaggio intento a dormire profondamente. Ma a partire dalle “quattro e dieci” del mattino, la temporalità di Feu la mère de Madame si definisce e si espande, anche se il testo fa riferimento ad altri tempi e altri spazi: quelli fuori scena e i tempi extra-scenici vissuti da Lucien, così come gli spostamenti del marito tra lo spazio assente e quello visibile della camera. D’altra parte, esistono altri tempi più o meno lontani, molto più indefiniti, riferiti alle azioni di Yvonne o agli ultimi istanti della madre in uno spazio che si suppone esistere esternamente.

Feu la mère de MadameNei vaudeville di Feydeau i personaggi sono per la maggior parte caratterizzati; trattandosi di una farsa, lo sono a maggior ragione in Feu la mère de Madame. Per quanto riguarda la ripartizione dei ruoli, la lettura degli interventi mostra una sorprendente parità tra Lucien e Yvonne: nella scena prima, 61 battute sono di Yvonne contro 59 di Lucien; nella seconda, i due personaggi sono in perfetta parità, in quanto a ciascuno spettano 82 battute; e per colmo della parità, Feydeau ne aggiunge tre in comune; nella scena terza, c’è un’apparente dissonanza, poiché Lucien ha a disposizione 118 battute contro le 76 di Yvonne. Tuttavia, va rilevato che la sposa, per un lungo momento, vi è assimilata come puro oggetto comico privo di voce, ma attorno al quale ruota la sequenza. Nella scena quarta, torna l’equilibrio, ma esteso ai tre personaggi dell’inizio: Annette ha 10 battute, rispetto alle 13 di Yvonne e alle 17 di Lucien. La ripartizione delle battute dei personaggi secondari conferma la strutturazione particolarmente equilibrata della pièce. Annette, che nella scena prima è solo una voce con 3 battute, acquisisce un certo peso nella seconda – dove ne ha 25 – si affievolisce nella terza, dove ne ha 24 brevissime – a favore di Joseph, che ne conta 63 – e riguadagna peso drammaturgico nella quarta, con 10 battute.

Qui è possibile scaricare un’anteprima di La suocera buonanima.

Per richiedere il copione intero è sufficiente inviare una mail a info@annamariamartinolli.it.

Georges Feydeau rivisitato da Eric-Emmanuel Schmitt

Georges & GeorgesScritta nel 2014, la pièce di Eric-Emmanuel Schmitt Georges & Georges è un omaggio al grande commediografo francese attraverso gli elementi che contraddistinguono la sua opera e la rendono unica nel suo genere.

Partendo dalla vita privata dell’autore, e nello specifico dai dissapori tra lui e la capricciosa moglie Marianne che lo considera uno scribacchino, Eric-Emmanuel Schmitt compone una commedia coniugale tutta fondata sui quiproquo, le porte che sbattono e le continue entrate e uscite di scena, ricca di citazioni e riferimenti a quei testi teatrali che hanno contribuito alla notorietà di Georges Feydeau.

In una scenografia fin da subito ridotta all’essenziale – un vestibolo con tante porte che si affacciano su numerose stanze – lo spettatore assiste al delirio di un Georges Feydeau ancora giovane, ma vessato dalla moglie e sommerso dai debiti, che in seguito all’intervento del Dottor Galopin e della sua poltrona estatica – come nella Dame de Chez Maxim – finisce per dare vita al personaggio che più di tutti popola la sua fantasia, ovvero la famosa Môme Crevette dell’opera di cui sopra, e interagire in sua compagnia con tutto un contorno di umanità molto più delirante di lui. Alla presenza iniziale di Marianne, segue quella di Hercule Chochotte, segretario del Palais-Royal che cerca disperatamente di convincere l’autore a scrivere il famoso terzo atto di Occupati di Amélie; della Regina di Batavia, che vorrebbe nominarlo accademico ma per problemi di lingua fatica a identificarlo e di Georges bis, nato dalla fantasia di Marianne che, sedutasi inavvertitamente sulla poltrona estatica, ha dato vita al Georges romantico, innamorato e sottomesso ai suoi capricci che cercava di conquistarla da ragazzina.

La serie di quiproquo abilmente orchestrati da Eric-Emmanuel Schmitt, rispettando la stessa linea compositiva di Feydeau ma applicandola a un numero di personaggi non superiore a sei, scatena sul palco il finimondo con innumerevoli scambi di persona di cui però il drammaturgo mantiene ben salde le redini: la Regina di Batavia scambia Chochotte per Feydeau, la Môme Crevette per la sua fidanzata e Marianne per la sorella della Môme; Marianne scambia la Môme Crevette per la Regina e la Regina per la nuova sguattera di cucina; Chochotte scambia il Dottor Galopin per il principe di Galles; il Dottor Galopin scambia tutti per dei pazzi da legare appena scappati dal manicomio.

In alcuni casi le citazioni tratte dalle opere di Feydeau sono inserite pari pari all’interno delle battute, permettendo a chi conosce bene i testi dell’autore di coglierle – per un italiano, probabilmente, sarebbe difficile riconoscere l’origine della battuta – in altri, sono i personaggi stessi a riprodurre il comportamento dei personaggi di Feydeau: a un certo punto, Chochotte, in preda all’emozione, inizia ad abbaiare come Lapige in Passa la mano.

Eric-Emmanuel Schmitt dimostra una profonda conoscenza di Feydeau e riesce a creare un’opera in cui la comicità si alterna alla drammaticità, esattamente come si può constatare operando un confronto tra i testi composti dall’autore francese e la vita che ha vissuto, soprattutto negli anni precedenti la morte. Significativa, in questo senso, la frase riportata nel saggio breve pubblicato nella versione a stampa della pièce: l’argomento di Feydeau è la follia, e la sua opera è un’esplorazione della demenza. Cosa si intende per follia? Il netto contrasto tra il pensiero e la realtà: il folle non percepisce il mondo com’è realmente ma come immagina che sia. Qual è la traduzione di “follia” in linguaggio teatrale? Quiproquo.

Qui è possibile vedere un frammento della pièce allestita sul palco:

Gli elementi fondamentali nella costruzione di un vaudeville

Il presente frammento è tratto dal saggio Vers une poétique du vaudeville?, di Daniel Lemahieu, in Europe, Revue Littéraire Mensuelle, 72° année – N° 786/Octobre 1994, pp. 103-105. Traduzione mia.

VaudevilleConfronti esplosivi

Quando due personaggi non devono incontrarsi, si incontrano. Questo determina risposte di emergenza, per salvarsi, ma in queste folgorazioni ognuno riconosce anche, all’improvviso, a fior di pelle, il non detto dell’altro; quello che l’uomo nascondeva alla sua amante o quello che la sposa taceva all’uomo. Cosa si scambiano, i protagonisti, quando si incrociano in un albergo a ore, al braccio o al collo dell’amante? Rispondono prontamente per negare l’evidenza. […]

Le scene sono spesso l’ambientazione di incontri catastrofici da cui i personaggi raramente escono incolumi visto che, nel vaudeville, il gioco degli scontri fa male. Gli scambi intempestivi sono tanto più aspri quanto più esagerata è la variazione delle entrate e delle uscite. Questi movimenti suscitano nei personaggi degli squilibri: passano senza transizione dalla serenità – sono salvi, sono fuori dai guai – al panico totale. Appena si trova una soluzione, una nuova incertezza, imprevista, a volte illogica, si profila all’orizzonte. Battibecchi bruschi, incoerenti, a volte esagerati. Più ci si inoltra nell’universo e nella scena del vaudeville, più se ne viene spinti fuori, dall’alternarsi di una forza centrifuga, che eietta i personaggi, e di una forza centripeta, che li obbliga a combattere tra loro e dibattersi, soprattutto quando non ci tengono a farlo. Nessuno si riprende dai danni subiti, poiché i combattimenti non lasciano spazio alla riflessione: la cosa viene subito pensata, subito detta, subito fatta, subito obiettata. E quando le parole non bastano più, i personaggi sopportano colpi, subiscono sevizie. Soffrono fisicamente la resistenza degli oggetti e la ribellione degli altri partner. Vivono costantemente sull’orlo della frattura. Eppure resistono affinché l’avventura possa continuare.

Costruzioni

Nel vaudeville si rendono necessarie costruzioni drammatiche di vario tipo:

Il faccia a faccia: Imprevisti ed esplosivi, gli incontri inopportuni contribuiscono a rendere inesauribili le argomentazioni dei duetti, dei terzetti, dei quartetti, senza badare alla verosimiglianza. Solo l’azione della parola conta. E di replica in replica, modifica lo stato del soggetto.

La peripezia: Conosciamo il lessico dell’intrigo: esposizione, intreccio, peripezia, epilogo. Si tratta di saper maneggiare i colpi di scena, i ribaltamenti di fortuna, gli improvvisi cambi di alleanza, gli ostacoli da superare, le tele di ragno tessute da cui bisogna tirarsi fuori. La peripezia vaudevillesca genera una serie di squilibri che favoriscono il passaggio da una situazione iniziale a un altro stato della medesima situazione, senza motivo apparente, né giustificazione razionale. Nel frattempo, i personaggi diventano oggetto di esperimento, o per se stessi o per gli altri, senza che possano regolare, rallentare o controllare il motore dell’azione che li trascina e li muove.

Il quiproquo: Questo meccanismo indispensabile alla dinamica del vaudeville consiste nel far prendere una persona, una cosa o un luogo per una persona, una cosa o un luogo diverso.

L’equivoco: Si verifica a più livelli.
Equivoco sulla persona: essere scambiati sempre per un altro e mai per chi si è veramente;
Equivoco sul luogo: credere di trovarsi in un ristorante in cui si è appena tenuto un banchetto nuziale e trovarsi in realtà in un salone dove si svolge un recital seguito da una cena. Nessuno si preoccupa delle conseguenze: divorare il pasto previsto preparato per altri sembra un comportamento normale.
– Equivoco sulla situazione: il contesto in cui il personaggio agisce non è quello di sua appartenenza. Lui tenta di uscirne con spiegazioni o reazioni di emergenza le une più pericolose delle altre.
– Equivoco sul desiderio: è quello che spinge il personaggio a cacciarsi nel labirinto delle sue stesse contraddizioni al fine di raggiungere un obiettivo, che si allontana sempre di più con il progredire della pièce. Il desiderio sembra il motore di quello che il personaggio anela e l’innesto di quello che dissimula. Vittime di tradimenti e fomentatori di menzogne, i protagonisti, animati da desideri opposti, approfittano degli altri e ne sono allo stesso tempo ingannati. Tutti si sbagliano sull’autenticità dei loro appetiti sensibili e interessi sentimentali.
Equivoco sulla cosa: si commette un errore sull’utilizzo o la funzione di un oggetto, di un rimedio, di un utensile, di un accessorio. L’uso non conforme di un vestito contribuisce ugualmente alla confusione. Se un personaggio, in uno spogliatoio, in una piscina, prende malauguratamente il vestito di un altro, l’abbaglio mette in moto il meccanismo della pièce.

La folgorazione: le pronte risposte, le parate, gli approcci, le schivate, i confronti sono esacerbati dal fatto che lo stupore di una risposta a un altro illustra alla perfezione la confusione in cui i personaggi sono immersi. Secondo Michel Vinaver, la folgorazione si manifesta quando si verifica una forte sorpresa. Si assiste, allora, all’emergere dell’inaspettato nella parola pronunciata, carica tuttavia di evidenza. La simultaneità dei due fenomeni, l’inaspettato carico di evidenza, spinge lo spettatore a vivere una situazione di sorpresa che lo induce a dirsi allo stesso tempo: “Questa poi!”, “Così stavano le cose!”.

Scenografie e accessori

La descrizione puntigliosa delle scenografie da vaudeville rappresenta una delle barriere di protezione della drammaturgia testuale. Alcuni sostengono che è impossibile eliminare la scenografia senza perdere la metà dell’efficacia compositiva. In realtà la scenografia, e quindi lo spazio che comporta, consiste nella concatenazione stessa delle repliche. La scrittura modella lo spazio e non la scenografia, per quanto precisa possa essere. L’aspetto funzionale della scenografia esiste solo per mascherare o favorire la ferocia dei rapporti tra i personaggi. Rapporti che fanno esplodere i luoghi tradizionali in cui si rifugia la borghesia e la piccola borghesia, come l’alcova, anche se, nell’epilogo, tutto rientra nell’ordine del migliore dei mondi possibili, con le sue regole, le sue norme, i suoi usi sociali stabiliti.

Acquartierarsi nel rilievo dell’armadio, del letto, delle scale, della porta, come le macchinine, significa trascurare la capacità delle parole di scatenare veri e propri cataclismi, indipendentemente dal meccanismo di oggetti e accessori, componenti obbligati della scenografia.

In verità, quello che conta sono solo le pedine più importanti di una scacchiera in cui ogni mossa è lecita. Anche se Georges Feydeau attribuisce notevole importanza alla descrizione precisa ed esaustiva della scenografia, ciò non toglie che sia proprio nelle scenografie e negli accessori indispensabili alla “parola-azione” che si proietta la sua visione drammaturgica. Tralasciando la scenografia e gli interni ed esterni, basta utilizzare gli accessori come strumenti musicali. Alcuni elementi restano determinanti ed essenziali: i letti, le porte, le sedie e i divani, le scale… Questi strumenti sono indispensabili al carattere efficace di una scena o di una pièce, nella misura in cui rappresentano una possibile focalizzazione dell’azione scenica fondata sull’azione della parola, che accumula variazioni una replica dopo l’altra. L’oggetto, da par suo, viene solo spostato e serve a qualcosa di diverso rispetto alla sua normale destinazione d’uso.

Georges Feydeau critico teatrale

Il presente frammento con citazioni, riferito alla figura di Georges Feydeau critico teatrale, è tratto da Il teatro comico di Georges Feydeau: commedie, atti unici e monologhi, volume VI, curatela e traduzione mia, pubblicato da Editoria&Spettacolo.

Feydeau volume VINel 1885 Henri Fouquier, secondo marito della madre di Georges Feydeau, cercò di consolidare il suo rapporto con l’allora ventitreenne futuro autore teatrale affidandogli il Courrier de Théâtre all’interno del quotidiano Le XIXème siècle da lui diretto. Feydeau, tuttavia, anziché limitarsi a riportare nella rubrica la programmazione teatrale, gli eventuali aggiornamenti e le risposte alle lettere ricevute, iniziò a utilizzarla per comunicare ai lettori voci di corridoio, pettegolezzi e per criticare o commentare con ironia le varie situazioni che si verificavano nell’ambiente teatrale.
Dopo numerosi tentativi, da parte di Henri Fouquier, di convincere Feydeau a non esprimere opinioni personali e mantenere un tono più distaccato, il futuro drammaturgo venne licenziato. Nove mesi dopo fu rappresentata la sua prima pièce in tre atti, Sarto per signora.

Il giorno di Pasqua è giorno di resurrezione. Ecco dunque Eugène Boudou, anche detto “l’uomo dalla testa di vitello”, chiedere di essere resuscitato. A quanto sembra, alcuni colleghi ne avevano annunciato la morte prematura: hanno forse confuso le teste di vitello?… Chissà! Sta di fatto che Eugène Boudou, che ha avuto la sua ora di celebrità al Teatro delle Folies-Bergères e che attualmente si esibisce alla fiera del pan speziato, è rimasto molto scosso all’idea di essere sepolto vivo. Quindi ci prega di informare i lettori della sua condizione di esistenza in vita. Ma certo caro, lo facciamo più che volentieri! Ci stavamo appunto chiedendo che fine avesse mai fatto l’uomo dalla testa di vitello! Ebbene, ecco, è vivo! Ah! La Francia ne sarà contentissima!
(Georges Feydeau, Courrier de Théâtre del quotidiano Le XIXème siècle, 06 aprile 1885)

Quando il successo di Messalina lo consentirà, sarà un gran balletto tratto da Gil Blas di Lesageche che la sostituirà (che fa pure rima!).
La musica è stata affidata al maestro Dapési.
(Georges Feydeau, Courrier de Théâtre del quotidiano Le XIXème siècle, 31 maggio 1885)

Riportiamo qui di seguito quanto letto stamane su un noto quotidiano: “A proposito del Lohengrin, da un paio di giorni è in corso una battaglia omerica tra l’editore della partitura italiana e quello della partitura francese.
L’Opéra-Comique aveva annunciato l’intenzione di allestire l’opera di Wagner in francese; poco tempo dopo, però, un giornale comunicava che l’Opéra l’avrebbe rappresentata in italiano.
A questo punto, l’editore della partitura francese ha manifestato il proprio disappunto. Egli, infatti, è il solo, in Francia, a detenere i diritti del Lohengrin. L’editore italiano gli ha risposto di rimando: “In francese, può darsi, ma in italiano proprio no!”.
Un terzo ha fatto notare che l’unico proprietario del Lohengrin è la Signora Cosima Wagner e che è anche la sola ad avere il diritto di autorizzarne la rappresentazione in questo o quel teatro a sua scelta”.
E così l’inchiostro scorre a fiumi!
La cosa divertente è che il teatro dell’Opéra non ha mai avuto intenzione di allestire il Lohengrin, né in italiano né in francese, e che i direttori Ritt e Gailhard non si sono mai rivolti ad alcun editore e quindi non hanno neanche mai interpellato Cosima Wagner per chiedere se poteva essere interessata a farlo rappresentare là.
Insomma, molto rumore per nulla.
(Georges Feydeau, Courrier de Théâtre del quotidiano Le XIXème siècle, 06 luglio 1885)

La casa editrice Paul Ollendorff ha dato alle stampe La banconota da mille, monologo in versi sul quale mi permetto di omettere qualsiasi raccomandazione, visto che l’ho scritto io.
(Georges Feydeau, Courrier de Théâtre del quotidiano Le XIXème siècle, 06 luglio 1885)

Le foche fenomeno delle Folies-Bergères si esibiranno ancora in un numero limitato di rappresentazioni. Infatti, sono state ingaggiate all’estero dove proseguiranno il loro sorprendente successo. Non avete ancora visto le foche? Andate! Andate!
(Georges Feydeau, Courrier de Théâtre del quotidiano Le XIXème siècle, 03 agosto 1885)

Il sindacato della società degli autori e compositori musicali si trova ad affrontare un caso singolare.
Si tratta del direttore di un caffè-concerto che, approfittando della sua posizione, è riuscito a inserire nel programma serale quotidiano del locale ben trentadue canzoni scritte da lui su trentanove testi interpretati.
Nel solo mese di giugno sono state dunque cantate ottocentonovantadue canzoni del direttore e trecentoquattro degli altri partecipanti.
I cantanti non sono affatto contenti.
(Georges Feydeau, Courrier de Théâtre del quotidiano Le XIXème siècle, 18 agosto 1885)

Il quotidiano Le Matin riporta quanto segue: “Una fonte autorevole ci comunica che nel testamento di Richard Wagner è presente una clausola che proibisce la rappresentazione di qualsivoglia opera del suo repertorio sulla scena francese. Ne consegue che il Teatro dell’Opéra non allestirà il Lohengrin”.
Bella scoperta, ve l’avevo già detto io un mese fa!
(Georges Feydeau, Courrier de Théâtre del quotidiano Le XIXème siècle, 23 agosto 1885)

Mercoledì sera, prima rappresentazione di Georgette, la nuova pièce di Victorien Sardou. Vi informiamo che sono esauriti anche gli strapuntini, e siccome in piedi non potete stare, siete pregati di andare a vederla un altro giorno.
(Georges Feydeau, Courrier de Théâtre del quotidiano Le XIXème siècle, 06 dicembre 1885)

Mercoledì prossimo alle venti e trenta, nella sala Beethoven, passage de l’Opéra, Boulevard des Italiens, 10, seduta di magnetismo e ipnotismo tenuta dal Dottor Robert.
Durante la seduta, l’ipnotizzatore darà dimostrazione dei fenomeni scientificamente provati, come la suggestione ipnotica, e di quelli tuttora discussi, come il magnetismo e il sonnambulismo lucido, o chiaroveggenza.
I biglietti li trovate direttamente in sala (comprateli prima di farvi ipnotizzare, che nella vita non si sa mai).
(Georges Feydeau, Courrier de Théâtre del quotidiano Le XIXème siècle, 11 gennaio 1886)

Un incendio ha completamente distrutto il Teatro degli Champs-Elysée di Lerida (Spagna). Non è morto nessuno, solo il teatro.
(Georges Feydeau, Courrier de Théâtre del quotidiano Le XIXème siècle, 24 gennaio 1886)

A cent’anni dalla morte, Georges Feydeau entra nella Bibliothèque della Pléiade

Feydeau PléiadeÈ uscito in Francia a novembre 2021 il volume 662 della Bibliothèque de la Pléiade delle edizioni Gallimard, stavolta dedicato a Georges Feydeau e alla sua opera.
1776 pagine rilegate in pelle, al costo di 62 euro, a cura della studiosa Violaine Heyraud che si è ampiamente occupata, nel suo lavoro di ricercatrice, dell’opera di Feydeau, Labiche e del vaudeville in generale.
Il volume contiene quelli che vengono definiti i tredici migliori testi dell’autore, ovvero: Sarto per signora, A scatola chiusa, Il signore va a caccia, Il sistema Ribadier, La palla al piede, L’albergo del Libero Scambio, Il Tacchino, La Signora di Chez Maxim, La pulce nell’orecchio, Occupati di Amélie!, La buonanima della suocera, Purghiamo il bimbo e Ma non andare in giro tutta nuda!. Dalla scelta delle opere si evince che sono stati selezionati i vaudeville di maggior successo, eccezion fatta per Il sistema Ribadier, molto meno rappresentato degli altri e più simile a una commedia, e che sono stati esclusi tutti gli atti unici del primo periodo e i monologhi per puntare solo su alcune delle cosiddette “farse coniugali” composte alcuni anni prima della morte, come La buonanima della suocera, Purghiamo il bimbo e Ma non andare in giro tutta nuda! (restano fuori, benché appartenenti alla stessa serie, Hortense ha detto: “Me ne frego!” e Léonie è in anticipo). Resta fuori anche Champignol suo malgrado, vaudeville di ambientazione militaresca che si rifà all’esperienza stessa dell’autore, che all’epoca ebbe un successo strepitoso ma che non viene più allestito da anni.

È positivo, dal mio punto di vista, che un autore teatrale come Georges Feydeau, specializzato nel genere comico – da sempre considerato minore –, ottenga finalmente l’attenzione che si merita all’interno di un volume di prestigio. Non condivido del tutto, però, la scelta dei testi (praticamente sempre gli stessi editi da anni anche in volumetti tascabili). Poteva essere l’occasione per dimostrare che l’opera dell’autore è molto varia, e per permettere ai lettori di osservare in un unico volume l’evoluzione dello stile e della mentalità del commediografo alternando grandi successi a pièces meno note che però attestano un suo tentativo di sperimentare qualcosa di diverso. Invece ancora una volta si è puntato sulle opere che tutti i francesi conoscono alla perfezione e che non permettono di avere una visione davvero completa di quello che lui era.

Tailleur pour dames

Sarto per signora al teatro di Montparnasse nel 2015, con Sebastien Castro e Veronique Barrault. PASCAL VICTOR/ARTCOMPRESS VIA LEEMAGE

Un gatto a due teste chiamato Rex Harrison

Il presente articolo è tratto dal quotidiano Il Piccolo, 29 dicembre 1967. L’autore è I. B.

La pulce nell'orecchio (Charon)Quando arrivai agli studi di Boulogne, a Rue de Silly, Rex Harrison era intento a ripetere a se stesso, con un sommesso tono di voce, le battute che avrebbe dovuto pronunciare nella scena che il regista Jacques Charon stava preparando con il direttore delle luci. Dai giorni nostri ero piombato in piena “belle époque”: precisamente mi trovavo in una saletta di passaggio del “Coq d’or”, un albergo compiacente dove Georges Feydeau aveva situato l’azione di uno dei suoi più gustosi vaudeville e cioè La pulce nell’orecchio.

Le pareti erano dipinte con toni pastello in contrasto con le rosse vampate dei tappeti; alle pareti quadri di maliziose e ammiccanti ragazze nascoste da bianchi pepli. Intorno, sparsi su tavolini e mensole, vasi e piccoli acquari, bronzetti, il tutto illuminato da una luce calda e morbida.

La vicenda di La pulce nell’orecchio, scatenata da una moglie sospettosa, mandava scintille di umorismo per gli incontri e gli scontri di Rex Harrison, nei panni di un ottuso portiere, e Rosemary Harris (famosa attrice inglese) che lo scambia per il marito, un raffinato e famoso avvocato parigino, dal quale si ritiene tradita. Ma in realtà si tratta di un equivoco causato da un altro personaggio che, in quel momento, non era in scena.

In realtà la commedia propone un divertissement affatto gratuito. Come in tutta la produzione di Feydeau, anche in La pulce nell’orecchio si riscontra una satira sotterranea, un ribaltamento ironico che mette a nudo la società francese di allora, ricca di sfaccettature, e rivela gli splendori di una civiltà piena di meraviglie.

E chi meglio del regista Charon, che ha riscoperto Feydeau per il teatro francese e inglese, avrebbe potuto guidare nel clima dorato e spumeggiante della “belle époque” i personaggi così ben tagliati e guidati dalla fantasia di un autore comico considerato il più importante del suo tempo?

Chi meglio di Rex Harrison sarebbe potuto essere ad un tempo un brillante uomo di mondo ed un portiere d’albergo? Dietro quella faccia da timido “gentleman” si può cogliere l’intelligenza felina di un uomo che può essere un gatto a due teste, Giano bifronte: Rex Harrison, a guardarlo attentamente, rivela, attraverso lo sguardo, una personalità contraddittoria, cioè il suo “fisico” maschera un’immensa capacità di dominio, un’incredibile volontà di suggestionare il prossimo servendosi di un’umiltà che è solo un abito. Questo spiega, credo, la resa dei suoi personaggi ai quali si rivela interamente.

La pulce nell'orecchio (una scena)

“È la prima volta che lei interpreta un personaggio di Feydeau?”.
“Sì, è la prima volta. Ed è un peccato perché Feydeau è un autore deliziosamente intelligente, paradossale e ricco di fantasia… da quando lavoro nel cinema non mi era mai capitato un film dove contano i gesti più che le parole, l’azione più che il dialogo… Feydeau offre la possibilità di fare del cinema puro… puro nel senso di servirsi delle immagini per raccontare”.

A questo punto interviene il regista Charon, il quale aggiunge:
“Quello che mi sembra importante sottolineare è che spesso nei “vaudeville” di Feydeau i personaggi si muovono a velocità supersonica anche quando stanno fermi. L’azione esterna od interna serve a Feydeau per rivelare il carattere dei personaggi e il clima della “belle époque” che non è solo un fatto scenografico che rispecchia una Francia ricca e fastosa, ma rivela la natura dell’uomo e l’atmosfera di un’epoca. Ionesco, quando ho presentato Feydeau a Londra, ha scritto una prefazione all’edizione inglese della commedia con cui riconosce esplicitamente al dialogo di Feydeau la logica dell’assurdo, una logica che ancora oggi, a distanza di sessant’anni, è viva e moderna. Credo che a Ionesco si possa credere”.

“L’adattamento cinematografico si è arricchito di variazioni?”.
“Abbiamo ampliato la parte di Rex Harrison. Anzi, la doppia parte. Per il resto abbiamo articolato, in chiave cinematografica, la struttura della commedia”.

“Crede che potrà essere determinante, agli effetti del successo, la presenza di Harrison?”.
“Feydeau, per essere rappresentato, ha bisogno di attori veri di consumata esperienza in quanto, senza esperienza, un attore potrebbe trasformare un personaggio in una caricatura, e i personaggi di Feydeau non sono né caricature né marionette… essi vivono, hanno una loro logica verità che li muove… La pulce nell’orecchio avrà un suo tono burlesco, senza gratuità, senza meccanicità fredda… e perché gli attori possano vivere in un altro secolo debbono sapersi togliere di dosso la pelle del tempo in cui vivono”.

E certamente Rex Harrison ci darà, possiamo esserne certi, la prova di essere un gatto a due teste: uomo brillante e raffinato e zotico e ubriacone portiere d’albergo.

Rex Harrison

Feydeau suo malgrado

Il presente frammento è tratto dal volume Tutto il teatro, Feydeau: commedie, vol. 1. Gherardo Casini Editore, Roma 1966, pp. 5-7. L’autore è Lucio Chiavarelli.

Feydeau caricatura

Feydeau caricatura

Durante il periodo del servizio militare, Feydeau prende preziosi appunti per Champignol suo malgrado e scrive Sarto per signora. Questa commedia viene rappresentata nel 1887 con un successo a dir poco strepitoso, successo che non si ripete per le commedie immediatamente successive: Feydeau comincia a conoscere in tal modo le piccole amarezze quotidiane degli scrittori teatrali, conosce gli attori che non leggono i copioni, i direttori di teatro che non si fanno mai trovare nei loro uffici, i mestatori che richiedono sovvenzioni sotto banco… Amareggiato, resiste alle tentazioni dei compromessi d’ogni genere che gli vengono proposti e anche a quella di mettersi a fare l’attore per apprendere meglio il cosiddetto métier, intuendo che non è per lui la strada giusta.
E per tutta la vita conserva una specie di orrore istintivo per quelle forme di teatro approssimative, per quegli attori incapaci di sollevare la creazione d’un personaggio dalle secche di una recitazione ancorata ad effetti tradizionali.
I diritti di traduzione e la fortuna accumulata da papà Ernest permettono a Georges di guardare alle preoccupazioni finanziarie con un certo distacco. La sua leggendaria pigrizia fa il resto: era talmente pigro che persino quando in un caffè entrava una splendida donna e l’attore Marcel Simon, suo intimo amico, sgranava gli occhi in segno di meravigliata ammirazione, non si scomodava neppure a girarsi indietro e si limitava a dire all’amico che lo informava su uno di questi ingressi favolosi: “Raccontamela”. […]

E il teatro? Per scrivere una pochade (un atto non di più!) c’è Maurice Desvallières, che è un magnifico collaboratore: basterà ritoccare il dialogo, inventare qualche particolare burlesco… E quel monologo per Simon? I monologhi sono la specialità d’un altro collaboratore di Feydeau, Raoul Toché, paziente e premuroso quanto Desvallières: se l’uno aspetta Feydeau (che è sempre in ritardo perché incontra troppe belle signore nelle sue passeggiate) pulendo l’argenteria di casa, l’altro ha la mania dell’arte culinaria e non gli sembra vero di riempire l’attesa inventando una nuova salsa Bourbonnaise.

Dame de Chez Maxim (caricatura)

Dame de Chez Maxim (caricatura)

Il successo “vero” arriva in un anno, per caso, con due commedie rappresentate contemporaneamente nel 1892: Il signore va a caccia e Champignol suo malgrado. […] Con le rappresentazioni di queste commedie e di quelle del periodo immediatamente successivo (forse il periodo più felice di Georges Feydeau), acquista dignità letteraria un genere nuovo: il vaudeville, a metà strada tra la commedia e l’operetta alla Offenbach, con esigenza di recitazione e di messa in scena assolutamente particolari, come intuirà molti anni più tardi Jean Louis Barrault. Un timbro di recitazione più acuto del normale, un colore caricaturale più deciso e più svincolato da qualsiasi preoccupazione realistica, un ritmo generale dello spettacolo più rapido e scattante sono anche a mio avviso le caratteristiche del vaudeville e nello stesso tempo le imprescindibili leggi alle quali deve sottostare ogni sua giudiziosa messa in scena. Queste leggi Feydeau aveva compreso e codificato con insospettata energia e minuziosa attenzione.

Il suo Feydeau come lo vuole? Liscio, grazie

Il presente articolo è tratto da L’Unità, 25 febbraio 1981. L’autore è Nicola Fano.

Paola GassmanÈ la stagione di Feydeau, viene riproposto un po’ in tutte le salse. C’è chi lo modernizza, chi esalta la sua filosofia sociale, chi lo travolge di drammaticità e chi lo presenta così com’è, ingegnoso e spassoso creatore di situazioni comiche e paradossali, comunque teatrali. A quest’ultima linea dovrebbe riferirsi la realizzazione del Gatto in tasca, opera giovanile del 1888, rielaborata da Roberto Lerici per la regia di Luigi Proietti (al suo debutto dietro le quinte) e con Paola Gassman, Ugo Pagliai e Mario Carotenuto protagonisti, in scena al Brancaccio.

Insomma, come mai tanti Feydeau in questa stagione: è un’ennesima riscoperta o un nuovo round del duello fra classici e contemporanei? “È una coincidenza – spiega, laconico, Luigi Proietti – : Feydeau da una parte è un classico, dall’altra è un autore divertente, stimolante in tutte le epoche, direi quasi popolare. Per quanto ci riguarda, poi, volevamo proporre un suo testo in questo teatro, per rivolgerci ad un pubblico, qual è quello del Brancaccio, che non frequenta spesso altre sale”.

Allora è un caso, va bene, ma resta il fatto che almeno nelle due ultime stagioni il nome di Feydeau è comparso molto spesso sulle locandine di teatri grandi e piccoli. Si dice che i suoi testi rallegrino pur restando fedeli alla regola del gioco serioso; e poi Feydeau è un maestro, si dice ancora, nel costruire intrecci al limite dell’assurdo.

Sarà ma, in fondo in fondo, che ne pensa Proietti di Feydeau? “Penso che bisognerebbe avvicinarlo senza preconcetti di sorta – ci dice – e soprattutto lasciando necessariamente da parte il riflusso: Feydeau è un autore che va iscritto nella cerchia di coloro i quali hanno creato lavori strettamente spettacolari. Un caso di “teatro-teatro”, non di letteratura teatrale: quindi va proposto al pubblico attraverso l’ottica della funzionalità scenica, del divertimento teatrale, non di un “ripescaggio” culturale troppo sofisticato”.

Infatti, Roberto Lerici, che ha tradotto e adattato Le chat en poche, ha cercato di rendere fino in fondo la scorrevolezza dell’originale, rifiutando la tentazione di preziosismi linguistici. Si tratta di una libera trascrizione che pone l’accento sull’irrazionalità della commedia, su quella struttura che quasi precorreva le regole del teatro di Ionesco, addirittura di Beckett. D’altra parte è stata messa in luce più volte la filiazione del teatro dell’assurdo dal vaudeville.

Proietti, Pagliai, Gassman

Proietti, Pagliai, Gassman

Luigi Proietti cura la regia di questo spettacolo, ma non vi partecipa come attore. Quale impronta ha dato alla rappresentazione? “La mia non è una regia paludata – dice – ma una semplice messa in scena professionale, basata anche sulla disponibilità di alcuni attori, capaci di fare il loro mestiere. Più che altro si tratta di un lavoro di équipe, cui hanno contribuito un po’ tutti, dagli interpreti al regista, all’autore dell’adattamento”.

Allora gli affezionati del Brancaccio avranno il loro meritato Feydeau, servito “liscio”, al naturale. Altri hanno avuto il Feydeau impegnato, portatore di messaggi sociali, “rivoluzionari” per l’epoca, precursore di profonde e novecentesche teorie. E altri ancora avranno il Feydeau rispolverato e lucidato di contemporaneità.

On purge Bébé di Feydeau: come far ridere il pubblico di argomenti scabrosi e sconvenienti

Il presente frammento è tratto dal saggio La fête des mots : de l’amertume au rire par la transgression verbale, in Écrire, traduire et représenter la fête, Real, E.; Jiménez, D.; Pujante, D.; y Cortijo, A. (eds.), Universitat de Valencia, 2001. L’autrice è Montserrat Serrano Mañes dell’Università di Granada. La traduzione è mia.

On Purge BébéNon mi occuperò del Feydeau dei grandi vaudeville, ma di quello dell’ultimo periodo, il cui riso senza conseguenze è più amaro. Tra il 1908 e il 1916, anno del suo divorzio, scrisse cinque atti unici. La struttura di queste opere differisce molto da quella delle sue grandi pièces in tre atti, e lo sviluppo monotono di un unico tema, la coppia, comporta anche una novità. Questa serie di “farse coniugali” combina tradizione e rinnovamento: possiamo rilevare i procedimenti del vaudeville, con i suoi personaggi tipici o l’importanza fondamentale del quiproquo. Ma la loro brevità, la coppia litigiosa e i gesti hanno come fonte diretta la farsa medievale. D’altra parte, la rappresentazione della morale, l’amarezza e l’acuto spirito di osservazione ricordano il teatro naturalista; e la satira spesso feroce, l’assurdità di certe situazioni, di certi dialoghi, le riallaccia al teatro più contemporaneo.

Purghiamo il bimbo (On purge Bébé, 1910) è l’opera che più chiaramente si muove verso il teatro della modernità, con il suo lato sinceramente naturalistico e assurdo, avvalendosi allo stesso tempo in modo tradizionale dei principi farseschi più antichi. Gli elementi trasgressivi, presenti in sovrannumero, possono essere considerati il valore fondamentale dell’opera. […] L’opera è strutturata intorno al conflitto di coppia, l’incomunicabilità. […] Feydeau ha trovato il modo di far ridere in una situazione tutto sommato banale, con personaggi mediocri, immersi in una vita quotidiana rasoterra: ha stabilito dei poli d’attenzione sufficientemente diversi da non risultare troppo amari; così facendo, crea una commedia dall’azione frammentata, nel senso che colloca diversi elementi “operanti” attorno ai quali tutto deve ruotare. […]

Sulla scena troviamo un universo “matrimoniale” in miniatura: un pianeta maschile – due mariti, un amante -, un pianeta femminile – le due mogli. Questi personaggi rappresentano da soli tutte le possibili forme che, secondo l’autore, il genere umano “sposato” può assumere. I due mariti hanno gli stessi difetti: squallidi, ignoranti, bugiardi uomini d’affari che adorano e amano essere adorati… L’amante sembra essere più un satellite, appartenente al genere maschile “libero”. Le mogli, secondo una verità che sembra acquisita dall’autore, rappresentano i due principali tipi possibili: o sono troppo fedeli, il che le rende ingombranti per il marito, – è il caso di Julie -, o sono infedeli, e lasciano il marito “troppo” solo: è il caso della Signora Chouilloux, che sa molto bene come approfittare dei difetti del marito e va a fare footing tutte le mattine con il caro “cugino”. […]

On Purge Bébé

Feydeau suscita ilarità su argomenti a prima vista sconvenienti. Il confine della mancanza di rispetto per il decoro rimane sfumato, grazie all’uso del non detto e di eufemismi gestuali e verbali; l’incoscienza di chi li pronuncia provoca una franca risata, invece di un possibile disgusto o rifiuto: le sciocchezze che si dicono e si fanno, i gesti e le gaffe di Julie, ci permettono di sbeffeggiare i torti degli altri. Questa trasgressione delle convenienze libera per un attimo lo spettatore dalle costrizioni sociali, e prosegue in crescendo per tutta la pièce: dal fraintendimento delle parole nella prima scena alla conversazione sulla stitichezza nella seconda. Nel secondo caso, quello della stitichezza di Bébé, l’autore riesce a far passare la scena ricorrendo alla strategia che si parla di un bambino; per il resto, utilizza effetti linguistici come frasi non finite, comprensione ritardata, parole a doppio senso e, soprattutto, eufemismi e ripetizioni, che però non nascondono il lato scabroso della conversazione; molto insolito come argomento e come frammento di dialogo teatrale, questo passaggio è direttamente legato alle farse medievali. La mancanza di finezza fa emergere il fondo amaro della commedia, e la trasgressione diventa accettabile attraverso la forza comica delle parole, perché in realtà nulla viene mostrato, nulla viene detto, ma tutto risulta chiaro. […]

Purghiamo il bimbo è presentato come un confronto amaro in origine, ma divertente nella sua esplosione, di due egoismi: quelli dei due membri della coppia. Questo dialogo tra sordi è arricchito da presenze esterne che rafforzano l’idea dell’egoismo umano, contando su un tono giubilante che impedisce qualsiasi cristallizzazione drammatica. Feydeau, lasciando da parte l’incoronazione dell’amore, quando il matrimonio è ancora una festa per i giovani amanti, ci invita ad accompagnare il carro funebre della vita coniugale, quando tutto è già consumato. La crudeltà di fondo dell’opera si combina con l’originalità dei suoi elementi naturalistici e assurdi, a volte persino surrealisti. Ma la compagnia, che è la compagnia delle parole, è piuttosto divertente: Feydeau usa la trasgressione verbale per trasformare l’amarezza in risata negli spettatori-voyeur. Comicità e amarezza sono abilmente bilanciate da Feydeau, che dimostra la sua capacità di osservazione. Grazie alla fantasia verbale e alla sua padronanza dei meccanismi del linguaggio teatrale, la satira, seppur leggera, dei costumi sociali, la visione nera di quello che ci viene presentato come l’inferno della coppia, ci viene servita condita da un riso ingenuo, cristallino, con un pizzico di riso grossolano.

Il signore va a caccia di Feydeau e gli “spantalonamenti”

Il presente articolo è tratto dal volume Unholy Fools, Wits, Comics, Disturbers of the Peace: Film & Theatre. Martin Secker & Warburg Ltd, London 1973, pp. 186-187. L’autrice è Penelope Gilliatt. La traduzione è mia.

The Birdwatcher

The Birdwatcher (programma di sala)

C’è un verbo che forse dovrebbe esistere: il verbo spantalonare, nel senso di mettere in atto una farsa. Ad agire è nello specifico un paio di pantaloni. Il dramma spantalonerà: stanno per essere abbandonati dai loro pantaloni. Lui si spantalonò: è andato ed è rimasto senza pantaloni. Una delle opere più piccanti di Feydeau sulla parte inferiore dell’abbigliamento maschile, The Birdwatcher (Il signore va a caccia), merita ora di essere vista nella buona traduzione inglese dello stesso regista, Richard Cottrell. Bisognerebbe vederla non solo per l’incomparabile spantalonamento, ma anche per la divertente performance di Michael Bates, nei panni di un medico che nel tempo libero scrive versi goffi e che non dovrebbe assolutamente essere sorpreso in mutandoni, come invece avviene, neanche tra un milione di anni. A volte si appoggia a un invisibile albero come un cavallo che si sfrega via le mosche, o cita un verso tremendo mentre sta uscendo dalla porta per prendere dello champagne per una donna sposata irrimediabilmente prosaica. “Oh, una poesia!”, dice Prunella Scales, “che bello”; come direbbe “Oh, una tazza di cioccolata!”.

Fisicamente, la performance di Michael Bates è agile e guizzante. Dopo che il suo corpo, squallidamente offeso e privato dei pantaloni, è stato utilizzato per un’altra imprevedibile evoluzione di trama, scatta di nuovo in posizione come la sagoma di un calciatore in un flipper. Nelle situazioni di emergenza, e cioè in mutande, salta come se il mondo gli scottasse le piante dei piedi. È uno squisito mix del decoro di un vivace medico di base e di quello di un pessimo poeta, con principi igienici che prevedono che gli altri non facciano storie ma sostenendo il proprio diritto a un sano sguazzare nell’autocommiserazione.

Monsieur Chasse

Monsieur Chasse (bozzetto)

Un tale senso di correttezza è la chiave della farsa. Dove i personaggi tragici provano dolore, i personaggi farseschi che si trovano più o meno nelle stesse condizioni si limitano a provare offesa. Spesso devono sopportare una rovina professionale definitiva come quella di Macbeth, o possiedono per disgrazia la famiglia di un Lear o la sfortuna di un Edipo, la cui capacità di trovarsi per tutta la vita nel posto sbagliato con l’informazione sbagliata al momento sbagliato gli avrebbe permesso di avere grande successo nella farsa. Ma nonostante tutto, non soffrono affatto. Come gli eroi della tragedia antica, si sottomettono a un destino ostile; ma si sottomettono senza introspezione, ed è un destino a livello di galateo. I personaggi di The Birdwatcher provano solo un’umiliazione sociale, non un senso di rovina della loro esistenza, e quando il lungo braccio del caso li colpisce, è solo la gamba di un paio di pantaloni incriminati.