Scritta nel 2014, la pièce di Eric-Emmanuel Schmitt Georges & Georges è un omaggio al grande commediografo francese attraverso gli elementi che contraddistinguono la sua opera e la rendono unica nel suo genere.
Partendo dalla vita privata dell’autore, e nello specifico dai dissapori tra lui e la capricciosa moglie Marianne che lo considera uno scribacchino, Eric-Emmanuel Schmitt compone una commedia coniugale tutta fondata sui quiproquo, le porte che sbattono e le continue entrate e uscite di scena, ricca di citazioni e riferimenti a quei testi teatrali che hanno contribuito alla notorietà di Georges Feydeau.
In una scenografia fin da subito ridotta all’essenziale – un vestibolo con tante porte che si affacciano su numerose stanze – lo spettatore assiste al delirio di un Georges Feydeau ancora giovane, ma vessato dalla moglie e sommerso dai debiti, che in seguito all’intervento del Dottor Galopin e della sua poltrona estatica – come nella Dame de Chez Maxim – finisce per dare vita al personaggio che più di tutti popola la sua fantasia, ovvero la famosa Môme Crevette dell’opera di cui sopra, e interagire in sua compagnia con tutto un contorno di umanità molto più delirante di lui. Alla presenza iniziale di Marianne, segue quella di Hercule Chochotte, segretario del Palais-Royal che cerca disperatamente di convincere l’autore a scrivere il famoso terzo atto di Occupati di Amélie; della Regina di Batavia, che vorrebbe nominarlo accademico ma per problemi di lingua fatica a identificarlo e di Georges bis, nato dalla fantasia di Marianne che, sedutasi inavvertitamente sulla poltrona estatica, ha dato vita al Georges romantico, innamorato e sottomesso ai suoi capricci che cercava di conquistarla da ragazzina.
La serie di quiproquo abilmente orchestrati da Eric-Emmanuel Schmitt, rispettando la stessa linea compositiva di Feydeau ma applicandola a un numero di personaggi non superiore a sei, scatena sul palco il finimondo con innumerevoli scambi di persona di cui però il drammaturgo mantiene ben salde le redini: la Regina di Batavia scambia Chochotte per Feydeau, la Môme Crevette per la sua fidanzata e Marianne per la sorella della Môme; Marianne scambia la Môme Crevette per la Regina e la Regina per la nuova sguattera di cucina; Chochotte scambia il Dottor Galopin per il principe di Galles; il Dottor Galopin scambia tutti per dei pazzi da legare appena scappati dal manicomio.
In alcuni casi le citazioni tratte dalle opere di Feydeau sono inserite pari pari all’interno delle battute, permettendo a chi conosce bene i testi dell’autore di coglierle – per un italiano, probabilmente, sarebbe difficile riconoscere l’origine della battuta – in altri, sono i personaggi stessi a riprodurre il comportamento dei personaggi di Feydeau: a un certo punto, Chochotte, in preda all’emozione, inizia ad abbaiare come Lapige in Passa la mano.
Eric-Emmanuel Schmitt dimostra una profonda conoscenza di Feydeau e riesce a creare un’opera in cui la comicità si alterna alla drammaticità, esattamente come si può constatare operando un confronto tra i testi composti dall’autore francese e la vita che ha vissuto, soprattutto negli anni precedenti la morte. Significativa, in questo senso, la frase riportata nel saggio breve pubblicato nella versione a stampa della pièce: l’argomento di Feydeau è la follia, e la sua opera è un’esplorazione della demenza. Cosa si intende per follia? Il netto contrasto tra il pensiero e la realtà: il folle non percepisce il mondo com’è realmente ma come immagina che sia. Qual è la traduzione di “follia” in linguaggio teatrale? Quiproquo.
Qui è possibile vedere un frammento della pièce allestita sul palco: