Il presente articolo è tratto dal quotidiano La stampa del 20 aprile 1950. L’autrice è Clara Grifoni, che nel 1969 raccolse anche in un volume le lettere inviate ai giornali dagli italiani. Il testo non è strettamente riferito a Feydeau o al suo teatro, ma si rivela interessante per l’analisi della figura della suocera e dimostra come la realtà vada ben oltre gli stereotipi superando la raffigurazione teatrale. Le cartoline delle suocere sono tratte da Picclick.
Non mi piace parlar delle suocere e non avrei voluto aggiungerle, come post scriptum, al breve “galateo coniugale” pubblicato su queste pagine. Tutto è stato detto sulle suocere da quando esistono i vaudevillisti e i commessi viaggiatori. Sennonché la gran parte dei mariti, e specialmente delle mogli, non è di questa opinione, come mi risulta dalle innumerevoli lettere ricevute; le quali mi esortano a mettere il dito sulla piaga, vale a dire sulla suocera, che appare tutt’oggi il pericolo n. 2 della felicità coniugale (il n. 1 essendo rappresentato non dall’adulterio, come generalmente si crede, ma dalla solita, banale e capitale “incompatibilità”).
È indubbio che, negli ultimi trent’anni, la figura della suocera ha subito dei ritocchi. In genere, questa signora non è più lo spaventapasseri caro a Labiche e Feydeau, ma una donna ancora giovane, magari piacente e a cui dicono spesso che sembra “la sorella di sua figlia”. Tuttavia, non illudiamoci, il problema è sempre quello, anzi qualcuno lo ritiene aggravato dal femminismo trionfante che rende più temibili i diritti, i capricci e i “vapori” di colei che gli americani chiamano mom, la madre-suocera. Più la madre è evoluta e moderna (cioè ansiosa di vivere, spoglia di pregiudizi, intraprendente), più rischia di allontanarsi dal tipo della suocera ideale che, secondo un crudele psicologo, è quella di cui “si può ignorare l’esistenza”.
Perché non vi sono alternative; o la suocera si ritira nell’ombra, accettando rassegnatamente la parte dell’esclusa, con l’inferno sentimentale che essa comporta, o rimane sulla scena e l’inferno incomincia per gli altri. Come si vede, nonostante le caricature e i couplets, la suocera non è un personaggio da farsa; il più delle volte è un personaggio drammatico e, in ogni caso, un personaggio-chiave da cui dipende il successo dell’intreccio che ha per protagonisti lui e lei (figlio e nuora o figlia e genero).
Spesso c’è un quarto personaggio che fa da comprimario ed è il suocero. Benché un suocero conti poco, la sua presenza infonde coraggio: egli potrà sempre, nei momenti critici, condurre via la suocera. Ma se questa è vedova, la situazione diventa inestricabile: un genero sentirà di avere sposato due donne e, una nuora, la metà di un uomo. In tale caso, la soluzione del conflitto dipende molto dall’oggetto conteso, cioè il figlio, o la figlia.
Non esistono ricette per la pace familiare, d’accordo; ma vi sono delle norme capaci di ridurre al minimo gli incidenti di frontiera e la prima di esse è veramente questa; subito dopo le nozze, compiere un taglio netto fra la propria vita di ieri e quella di oggi, anche se quell’operazione chirurgica provocherà grida e lacrime. Un uomo sposato non deve compiacersi nella parte dell’enfant gâté; non si può essere al medesimo tempo un marito e il cocco di mamma; o si può esserlo, ma a proprio rischio e pericolo. Conosco una giovane nuora a cui la suocera impartisce ogni tanto lezioni di cucina, insegnandole a confezionare “certi manicaretti come dico io, che piacciono tanto a mio figlio”. Orbene, la prima volta, questa nuora ha messo a tradimento un bel cucchiaio di pepe nel manicaretto preparato dalla suocera; la seconda volta, un bel pugno di sale inglese. Non vorrei essere in quel figlio-marito, se ci sarà una terza volta.
Dirò, quindi, al figlio-marito: non credere che il tuo amor filiale e il tuo amore coniugale possano abitare impunemente sotto lo stesso tetto e, in proposito, non venire a compromessi. Guardati anche dal concedere alla tua esperta genitrice di mettere i suoi talenti culinari e casalinghi a disposizione della tua inesperta moglie, per “evitarle gli errori dell’inizio”. Ciascuno ha diritto ai propri errori, che sono i veri maestri della vita. Si trova sempre una certa quantità di errori ortografici agli inizi di ogni grande scrittore e di arrosti bruciati agli inizi di ogni cordon bleu.
Non abbandonarti a sfoghi di sorta con tua madre; che nessuno tenga un libro dei conti dei tuoi dissapori coniugali. E non chiederle consigli sul modo di trattare tua moglie; un uomo sposato deve saper sbagliare da sé.
Non cadere nella facile tentazione di credere tua madre un caso a parte e non dire a tua moglie: “Potrai intenderti benissimo con lei. È così intelligente e comprensiva. Non ha niente da fare con le altre suocere!”. L’eterna guerra tra suocera e nuora deriva meno dal contrasto di due caratteri e dalla rivalità di due amori che dall’insanabile conflitto di due generazioni. Niente colpi grossi, solo piccoli colpi mancini, e invece della critica aperta, l’insinuazione. Essa dice: “Ai miei tempi la biancheria durava molto di più”, oppure: “Oggi si sta troppo davanti allo specchio e troppo poco davanti ai fornelli”, e anche, rivolta a suo figlio: “Stai poco bene? Non hai più il tuo bell’umore di una volta”, eccetera.
Gran parte di queste esortazioni valgono anche per la figlia-moglie. E quanto alla nuora direi: sii paziente con tua suocera, pensando che, un giorno o l’altro, diventerai suocera a tua volta. Ma difendi strenuamente l’indipendenza del tuo focolare. Cerca di mantenere i rapporti con la “sua” famiglia, almeno finché un vero affetto non ti ispiri, nell’ambito della semplice cortesia e, direi, della mondanità; un pranzo ogni tanto, dei regali o dei fiori per le ricorrenze, qualche visita per malattia e basta. In amore, bisogna dire addio a ogni famiglia: la sua come la tua.
E ora, un unico consiglio alla suocera: almeno per il primo anno, scegliti come modello quella brava Madama de Sévigné che fu, senza alcun dubbio, la miglior suocera della storia; infatti, essa mantenne con la figlia, dopo le nozze di questa, dei contatti puramente epistolari. Una lettera è un buon complice che non tradisce la parte peggiore di noi.