La logica ferrea di Georges Feydeau

Il presente frammento è tratto dal saggio Georges Feydeau, notre grand comique, in Cahiers Renaud-Barrault, No. 32, dicembre 1960, pp. 43-47. L’autore è Marcel Achard. La traduzione è mia.

La dame de Chez MaximFeydeau era solito dire al figlio Michel: “Quando inizio una pièce, mi autorecludo. E la scarcerazione avviene solo quando scrivo la parola: SIPARIO”.
Il problema di Feydeau stava nel fatto che non era semplice essere allo stesso tempo orologiaio, ingegnere, giocatore di scacchi, matematico e autore comico.
Aveva emanato delle leggi draconiane e, nel suo essere come sempre paradossale, le seguiva alla lettera.
Al giorno d’oggi, tutti sanno qual era, per lui, la legge più importante: “Quando in una delle mie pièce due personaggi non devono incontrarsi, io li metto uno di fronte all’altro”.
Una legge magnifica. Indispensabile a qualsiasi drammaturgo degno di questo nome. Sofocle, Shakespeare e Molière l’avevano rispettata senza conoscerla. Feydeau ebbe il merito di stabilirla, e infatti, non vi ha mai rinunciato.
Il celebre drammaturgo francese sosteneva anche che: “Il pubblico si dimostra riconoscente quando non viene imbrogliato. Io non saprei che farmene degli applausi fasulli”. Eppure, questa sua legge, a volte gli giocava qualche brutto tiro.

Uno degli esempi più classici è quello di Champignol suo malgrado.
Forse qualcuno ricorderà che, nella pièce, il capitano Camaret conosce solo un Champignol, quello fasullo interpretato dal personaggio di Saint-Florimond. Allora, cosa prevede, in questo caso, la legge? Il capitano Camaret deve imbattersi nel vero Champignol. D’accordo. Ma se il capitano Camaret parla con il personaggio vero, la magnifica costruzione crolla e la pièce si blocca.
Che fare?
Georges Feydeau ci mise un mese a risolvere il problema. Eppure, non c’era niente che lo obbligasse a far incontrare i due personaggi. Niente salvo la sua legge, salvo il desiderio di non aver imbrogliato. E un bel giorno, trovò la soluzione.
Il capitano Camaret passa davanti ai suoi uomini. Il vero Champignol è nei ranghi. Il capitano ordina l’esercitazione e poi, interrompendosi bruscamente, esclama: “Ah! Adesso che ci penso, sergente Belouette, fate venire qui l’artigliere Champignol.
Champignol sussulta, esce dai ranghi e si avvicina, con aria interrogativa: “Mio capitano?”.
“Chi vi ha chiesto niente?”
“Ma, mio capitano…”
“Non c’è ma che tenga…”
“Eppure, mio capitano…”
“Forse che voi vi chiamate sergente Belouette? No! E allora tornate al vostro posto!”.
È una cosa da nulla, ma bisognava pensarci. E il pubblico scoppia a ridere. Mentre Champignol, rientrando nei ranghi, borbotta: “Che voltagabbana!”.

Un altro esempio di questo tipo lo si trova in La signora di Chez Maxim
Il dottor Petypon ha festeggiato da Chez Maxim il buon esito di una delicata operazione chirurgica (anche se in realtà il paziente è morto). L’amico Mongicourt va a chiedere sue notizie al domestico e lo trova, ubriaco fradicio, sotto un divano rovesciato. Nell’alcova, si sente il rumore di uno sbadiglio. È la Môme Crevette che Petypon si è portato a casa da Chez Maxim. Panico totale. Petypon è sposato e la moglie è ben poco indulgente. La moglie entra, e la Môme ha a malapena il tempo di nascondersi sotto le coperte. La signora Petypon vede un vestito da donna posato su una sedia, crede si tratti dell’abito che ha ordinato alla sarta, lo prende e se ne va.

Cartolina d'epoca

La Môme vorrebbe solo andarsene, ma non può girare tutta nuda. Mentre Petypon e Mongicourt decidono il da farsi, sopraggiunge uno zio di Petypon: è il generale Petypon du Grêlé. Nemmeno lui è un tipo indulgente, e ben presto scopre la Môme nascosta nel letto. Cos’è che gli avevano detto? Ah, sì: che il nipote si era sposato con una donna anzianotta e austera. Ma la donna che lui ha modo di conoscere è invece affascinante. Petypon non ha il coraggio di confessargli la verità, e il generale invita entrambi alla festa di fidanzamento della nipote, che si terrà nel suo castello.
Petypon si ritrova così al castello con la Môme. Tuttavia, la signora Petypon ha preso un treno per raggiungere il marito. Arriva a casa del generale e porge i suoi omaggi. Cosa dice la legge di Feydeau? Qual è la persona che non deve assolutamente incontrare? La Môme Crevette. Ne consegue che bisogna fare in modo che la incontri. Ma come far sì che non scopra l’inganno quando una delle invitate le presenta la Môme Crevette con il nome di Signora Petypon?
Questa volta, Feydeau impiega ben due anni per risolvere il problema. Due anni durante i quali immagina tutte le combinazioni possibili. E, dopo due anni, trova la soluzione.
L’appellativo “signora Petypon” deve riferirsi a entrambi i personaggi. La signora Petypon può tranquillamente credere che le stiano presentando la Môme Crevette come un’altra signora Petypon. E questo perché il generale potrebbe essersi risposato e quindi sua moglie sarebbe “la signora Petypon du Grêlé”. Infatti, la vera signora Petypon si getta tra le braccia della Môme Crevette urlando: “Zietta cara!”.
Georges Feydeau è un po’ come Archimede. L’esclamazione “zietta cara!” assomiglia molto a “eureka!”.
Tuttavia, bisogna ammettere che in un caso l’autore non trovò la soluzione. Aveva scritto due atti e mezzo di una pièce, Cento milioni piovuti dal cielo, che narrava la storia di un domestico diventato improvvisamente ricco, ma la trama gli si ingarbugliò tra le mani e non riuscì più a trarsi d’impaccio. I personaggi finivano per imboccare talmente tanti vicoli ciechi da non trovare più la loro strada, e quindi la pièce rimase monca, con i suoi due atti e mezzo.
Certo mi si obietterà che forse ho attribuito eccessiva importanza al duro lavoro svolto dall’autore de Il tacchino per realizzare una commedia. Tuttavia, non voglio che qualcuno ne deduca che, per essere Georges Feydeau, basti restare fermi per due anni davanti a una battuta.

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